lunedì 1 ottobre 2012

Leggendone: S'accabadora

Su “Accabadora” di Michela Murgia, vincitore del premio Campiello nel 2010, tanto è stato detto e tanto è stato scritto. 
Provo a dire la mia dopo averlo letto in brevissimo tempo: dal punto di vista “materiale” lo trovo un romanzo ben scritto, in cui è interessante come facciano capolino alcune parole in sardo che vivacizzano la scrittura senza farlo scadere nel folklore, neppure in quelle fasi in cui emerge la vita di paese e viene messa in risalto quella quotidiana sardità del secondo dopoguerra, fatta di gesti umili e sapienti come la cucitura o la vendemmia o la preparazione del pane e dei dolci tipici. 
Ma ciò che cattura il lettore e lo coinvolge emotivamente nella vicenda è la riflessione (obbligata) sull'eutanasia, le sue varie facce e il conflittuale rapporto che l'essere umano stabilisce con la morte. 
La discussa figura della “terminatrice” sarda ha avuto risalto recentemente grazie all'opera della Murgia (ma non solo, cito fra gli altri, l'albo intitolato proprio “Le terminatrici” del fumetto Dampyr, di Mauro Boselli), ma costituisce in realtà una figura presente in diverse culture fino a pochissimo tempo fa: la praticità delle società che basavano la propria vita sul lavoro nei campi o comunque su quello manuale faceva sì che un aiuto alla morte fosse qualcosa di naturale. 
È una questione sulla quale opere d'arte come il romanzo di Michela Murgia assumono una particolare importanza, in quanto fungono da stimolo: leggendo un libro del genere nessun lettore può rimanere indifferente. Mi ha (forse banalmente) riportato alla mente la prima volta che vidi “Mar adentro” di Alejandro Amenábar, con l'interpretazione straordinaria di Javier Bardem nel ruolo del paraplegico costretto per anni a letto da una lesione alla spina dorsale, ma con una mente lucidissima. Se mai ce ne fosse stato bisogno, quel giorno capì quanto dev'essere terribile la vita/non vita di un malato incurabile e capì soprattutto che ciò che porta una persona a una decisione terribile come quella di voler morire non è la paura o la debolezza, ma la consapevolezza. 




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