giovedì 4 aprile 2013

Babele/24effepiesse: The war on democracy


Hugo Chávez è morto da qualche giorno; nel momento in cui scrivo questo articolo è ancora in corso il suo funerale a Caracas. In questi giorni navigando su Internet ho letto tanti articoli che ricordavano questo peculiare personaggio del panorama Latino-americano e del mondo intero. Ho letto anche commenti di persone che lo rimpiangono ma che votano PD, e gente che ne festeggia la morte stigmatizzandolo come se fosse il diavolo in persona.
Ho anche notato che alcuni hanno pubblicato un documentario “The War on Democracy”, che ha attirato la mia attenzione e che ho prontamente visto.
Il documentario, opera del giornalista australiano John Pilger, esprime già dal titolo l'essenza del suo contenuto: la critica alla politica imperialista statunitense dal secondo dopoguerra a oggi. In effetti il titolo è un richiamo piuttosto esplicito allo slogan utilizzato negli ultimi anni dal governo nordamericano per giustificare le sue azioni di politica estera: la presunta “guerra al terrorismo”.
La locandina del film
Ci si occupa, in questo caso, di quella porzione del mondo che è stata definita come “cortile di casa” degli USA, ossia l'America Latina.
Il documentario, realizzato nel 2007, ha come asse centrale proprio la figura di Hugo Chávez, del quale viene narrata l'ascesa al potere nel 1999 e sottolineata l'attenzione verso le classi più povere della popolazione: i provvedimenti volti al miglioramento delle condizioni sanitarie e dell'istruzione si unirono infatti alla cacciata delle imprese straniere che fino ad allora detenevano il controllo sulle importantissime risorse petrolifere venezuelane. Questa statalizzazione dell'estrazione petrolifera non fu ovviamente vista positivamente dal governo statunitense, ma non solo: anche all'interno del Paese l'opposizione al governo di Chávez si fece pesante, in particolare nei settori agiati della popolazione, detentori della maggior parte delle televisioni e dei mezzi di comunicazione, che iniziarono così una forte campagna volta alla criminalizzazione del presidente (sia all'interno del Paese, sia in Occidente).
Viene poi narrato il tentativo di Colpo di Stato del 2002, che portò al sequestro di Chávez per alcuni giorni, fino a quando la popolazione si riversò numerosissima per le strade e accerchiò il palazzo di Miraflores, sede del governo, chiedendone la liberazione. È questo per Chávez il momento cruciale della sua traiettoria politica: in un'intervista rilasciata allo stesso autore del documentario, dichiara che dopo gli avvenimenti di quei giorni, ciò che gli rimase fu semplicemente la volontà di dedicare quello che gli sarebbe restato da vivere a quel popolo, soprattutto ai più poveri.
Il regista, John Pilger, con Hugo Chavez
La mano statunitense nell'organizzazione del golpe ai danni di Chávez, seppur negata più volte, risulta evidente dal comportamento tenuto dai politici nordamericani ma soprattutto da alcuni documenti della CIA che vengono citati puntualmente da Pilger. E del resto, come sottolineato magistralmente nel documentario, questo non fu che uno degli ultimi atti della politica imperialista statunitense nei confronti degli stati latino-americani. Iniziando dal 1950 in Guatemala e continuando nel corso dei decenni in praticamente tutti i paesi sudamericani, la politica estera statunitense, dietro presunte questioni di sicurezza nazionale (la famigerata “minaccia comunista”), ha agito fondamentalmente su un solo binario: quello della deposizione di governi “non allineati” attraverso l'appoggio (più o meno esplicito) a colpi di stato militari. Questi, nella stragrande maggioranza violentissimi, hanno portato solitamente alla sostituzione di governi democraticamente eletti con personaggi vicini agli Stati Uniti. Il caso forse più tristemente eclatante e conosciuto è rappresentato dal golpe cileno del 1973, che portò alla morte del presidente Salvador Allende e alla presa di potere del generale Augusto Pinochet. Gli anni della dittatura fascista di Pinochet hanno gettato le basi per una profonda trasformazione del Paese andino per quanto riguarda l'economia: il Cile rappresenta infatti uno di quegli “esperimenti sociali” che, sulla base delle teorie liberiste di Milton Friedman e attraverso privatizzazioni selvagge, hanno acuito le differenze sociali, portando al consolidamento di una minoranza ricchissima e di un enorme settore della popolazione che si ritrova in condizioni di indigenza.
Le situazioni di Guatemala, Cile, Bolivia, El Salvador, Nicaragua, Venezuela sono solo alcuni degli esempi che il documentario di John Pilger descrive per mettere in luce come gli interessi economico-politici statunitensi abbiano messo in gioco la vita di migliaia di persone su tutto il suolo latino-americano. Ma la cosa più indignante è senza dubbio l'arroganza e la strafottenza con la quale tutte queste violenze siano costantemente negate: ne dà un esempio Duane Clarridge, capo della CIA per l'America Latina tra il 1981-84, che non esita a definire le accuse delle organizzazioni per i diritti umani (Amnesty International fra tutti) come “bullshit”, stronzate.
The war on democracy” è un documentario consigliatissimo, che affronta delle tematiche scomode e allo stesso tempo lancia un messaggio di speranza per il cambiamento. Si trova su Vimeo a questo indirizzo, in inglese con sottotitoli in inglese (se non siete espertissimi non lasciatevi spaventare, con i sottotitoli è comprensibile!).
Buona visione a tutti!








4 commenti:

Davide "boldraker" Boldrini ha detto...

io la butto lì: perchè i nostri esperti in linguaggio d'oltre manica non si cimentano in una bella e utilissima traduzione? :)

Manuelito ha detto...

Qualcuno fortunatamente ci ha già pensato :
http://www.youtube.com/watch?v=Oy69NeZ7iRE&playnext=1&list=PL038FA731F0B302C1&feature=results_main

Camilla Fois ha detto...

Io l'ho visto tempo fa, e poi l'ho riguardato dopo la morte di Chavez, è veramente un bel documentario.
Bravo Pau per la recensione, rincaro il consiglio: guardatelo!

Bès ha detto...

Gracias Pau!