giovedì 31 gennaio 2013

ALTROVE: Cuzco y El Valle Sagrado de Los Incas (parte 2)

        Il profilo sulla roccia di fronte a Ollantaytambo
Arrivato a Ollantaytambo di ritorno da Machu Picchu, mi sono subito diretto dalla stazione al centro del paesino, ma prima di intrufolarmi nel reticolo di stradine che lo compongono ho deciso di visitare il sito archeologico che fronteggia l'abitato. Ollantaytambo è una delle 17 mete turistiche visitabili con il biglietto cumulativo chiamato “Boleto Turístico”, che per 130 soles (70 per i peruviani) permette di conoscere tutta la zona attorno a Cuzco nei minimi particolari. Arrivato alla biglietteria, però, erano finiti i biglietti, ma mi è stato permesso di entrare lo stesso (non avendo ancora visitato nessuna delle altre 16 mete, era ovvio che l'avrei dovuto comprare prima o poi). Anche a Ollantaytambo ho deciso di farmi accompagnare da una guida (anche qui in un gruppo di 5 persone), che mi ha condotto sulla faticosissima scalinata che conduce alla parte alta di questo che era una sorta di santuario costruito di fronte a un punto di riposo per gli eserciti dell'Inca. Il nome infatti deriva da Ollantay (nome proprio di un generale dell'imperatore Pachacutec) e Tambo (che significa, appunto, “luogo di riposo”). La leggenda narra che il generale Ollantay, grande combattente, si fosse innamorato della figlia dell'imperatore e l'avesse chiesta in moglie. Pachacutec, adirato per questa richiesta, anziché premiare il suo generale lo castigò. Tuttavia, il figlio di Pachacutec, l'Inca Yupanqui, cercò di rimediare a questa decisione del padre ordinando di costruire la cittadella in onore di Ollantay. Il sito archeologico è famoso soprattutto per il tempio dedicato al Sole, divinità principale per i Runa (letteralmente “uomini”, come si autodefiniva il popolo quechua) costituito da massi enormi trasportati da circa 7 km di distanza e mai portato a termine, e per un più piccolo tempio dedicato al culto dell'acqua. Interessantissimo è poi un antico magazzino di viveri che si trova sul versante montuoso situato di fronte al santuario: la sua originalità è data dal fatto che le rocce e la costruzione artificiale assumono la forma di un vecchio che porta sulle spalle una sorta di zaino. C'è chi dice che la montagna sia stata scolpita e chi invece sostiene che non vi sia stata apportata la mano dell'uomo, fatto sta che è facilmente riconoscibile un profilo umano.

                      Le mura tipiche nel centro di Cusco
Oltre al sito archeologico è assolutamente da vedere il piccolo paesino, che conserva ancora diversi edifici che uniscono stili architettonici dell'epoca incaica e della colonia: è infatti molto comune trovarsi di fronte a delle costruzioni costituite, nella parte bassa, da grossi blocchi di pietra (architettura incaica), mentre la parte alta è fatta di mattoni di terra e paglia intonacati (risalenti all'epoca coloniale e moderna).
Calato ormai il buio, ho dovuto aspettare per qualche ora la partenza di un taxi collettivo (che viaggiano solo a pieno carico) diretto a Cusco; per ingannare il tempo ho deciso di mangiare qualcosa: lo spuntino tipico e a poco prezzo delle Ande è il choclo con queso, ossia una pannocchia di mais bollito con un bel pezzo di formaggio. Ottimo, nutritivo ed economico.
Arrivato a Cusco dopo circa un'ora e mezzo di viaggio, ho dovuto cercare un ostello in cui sistemarmi; nonostante fosse ormai notte non ho faticato granché: Cusco è senz'altro la città turistica più importante del Paese e dunque abbondano alberghi e ostelli di ogni categoria; dopo aver scartato due o tre posti che non mi potevo permettere, mi sono allontanato un po' dalla Plaza de Armas, fino a che non ho trovato un posticino tranquillo ed economico.
L'indomani ho iniziato a visitare la città, iniziando dal Qorikancha, l'antico tempio dedicato alle divinità celesti, il centro della vita sociale e religiosa dell'impero incaico, nonché della città. Infatti, prima dell'arrivo degli spagnoli, Cusco aveva la forma di un puma, e il Qorikancha si trovava all'altezza del ventre del felino. Il suo nome significa letteralmente “cortile d'oro”, e pare che questo tempio fosse in gran parte coperto da giganti lastre del metallo più prezioso, che per il popolo quechua aveva valore solo in quanto ricordava loro il Sole, la maggiore fra le divinità. Questo oro venne fuso e versato come riscatto per la vita dell'ultimo inca, Atahualpa, sequestrato dagli uomini di Pizarro a Cajamarca. Per rimetterlo in libertà il popolo doveva riempire delle stanze enormi di oro e di argento. Inutile dire che i conquistadores non mantennero la parola e, nonostante il riscatto, fecero fuori l'ultimo imperatore.

                  Le maglie di Kenemèri viaggiano orgogliosamente
Tornando al Koriqancha, gli spagnoli, invece di distruggere quello che era un punto di culto fondamentale della città, decisero di trasformarlo e sostituire il culto pagano con quello cristiano, costruendovi sopra il convento di Santo Domingo.
Questo sito, essendo appunto un luogo di culto, non rientra nel “Boleto Turístico”, come del resto le altre chiese e come la Cattedrale, una delle due chiese situate nella centralissima Plaza de Armas (l'altra è la chiesa dei gesuiti), il cui biglietto d'ingresso costa 15 soles (compresa l'audioguida in varie lingue), ma che vale veramente la pena visitare.
Uscito dalla cattedrale è veramente imperdibile una passeggiata nel quartiere di San Blas, che si snoda su strette salitine nelle quali abbondano i laboratori di artigiani che creano oggetti unici e bellissimi (manufatti in lana, pietra, legno ecc.) a prezzi accessibili. In questa parte della città ho potuto ammirare la famosa “pietra dai 12 angoli”, che sintetizza la maniera di costruire edifici incaica, con l'incastro millimetrico di pietre (anche enormi) levigate ad arte per poter combaciare l'una con l'altra. A San Blas merita poi una visita il Museo della Coca, che spiega i vari usi rituali e sociali di questa pianta importantissima per la popolazione andina e nel cui negozietto si possono acquistare caramelle, dolci, cioccolati aromatizzati alla coca nonché “mate”, il tipico the andino, utilissimo per combattere stanchezza e il “soroche”, il mal d'altitudine, e altri vari prodotti creati utilizzando questa pianta, che nel mondo occidentale è conosciuta essenzialmente per lo stupefacente che se ne può ricavare attraverso vari processi di lavorazione.
Grazie al Boleto Turístico, si possono poi visitare alcuni dei musei della città come il Museo d'arte contemporanea, la casa dello scrittore Garcilaso de la Vega el Inca o, il più interessante, il museo d'Arte popolare. Per conoscere poi qualcosa in più sulla storia della città si può visitare il monumento all'Inca Pachacutec, che si trova non lontano dalla stazione degli autobus. Ma senz'altro ciò che più attira è girare per le viuzze dei quartieri storici, visitare i vari mercati popolari e conoscere le facce, il modo di vivere e la cucina tipica dei cusqueños. Sono tante infatti le specialità gastronomiche, le migliori, a mio avviso (abbiano pazienza vegetariani e vegani), quelle a base degli ottimi animali delle Ande. A partire dal Rocoto relleno (ossia un peperone moooolto piccante ripieno di carne macinata, arachidi e altre bontà), passando per la carne di alpaca (saporitissima) e arrivando al cuy (il porcellino d'india) al forno o fritto. Una delizia, che però spesso si trova a prezzi spenna-turisti (basta girare un po', tuttavia, e si trovano dei ristoranti magari poco chic ma nei quali si mangia ottimamente e a prezzi accessibili). Ovviamente, anche i non carnivori hanno però di che godere, con patate e mais di così tante varietà che in Italia possiamo solo sognarci o con cereali di vario tipo che si utilizzano per zuppe ottime e nutritive. Tra le bevande le scelte sono due: birra “cusqueña” oppure “chicha”, una bevanda ottenuta dal mais che viene poi fatta fermentare, che si beve normalmente in delle locande che si chiamano appunto “chicherías”.
Un piacevole diversivo prima di cena è senz'altro lo spettacolo di musica e danze tradizionali che ogni giorno viene realizzato al “Centro Qosqo de arte nativo”, che dura circa un'oretta e che si può vedere con il biglietto cumulativo.
 
La forma di puma di Cuzco e le 4 parti dell'impero Inca
La zona intorno alla città è la cosiddetta “Valle sacra degli Incas”, una zona ricca di testimonianze lasciateci dalla popolazione autoctona e costruite prima dell'arrivo degli spagnoli lungo la valle del fiume Urubamba. La mia intenzione era quella di visitare i principali siti in maniera completamente autonoma, spostandomi con taxi collettivi e autobus. Tuttavia, avendo scoperto che la padrona dell'ostello in cui passavo la notte faceva anche la tour-operator, mi son fatto convincere a fare delle escursioni di gruppo con autobus e guida; in effetti, facendo due conti, fra spostamenti e costo della guida in ogni singolo sito, sarebbe risultato molto più costoso fare tutto per conto mio.
Così il giorno dopo sono partito per il tour del “Valle Sagrado” (prezzo totale 35 soles); la prima meta è stata il paesino di Pisac, animata da un gigantesco mercato di prodotti vari: dai gioielli fatti con argento e pietre colorate, fino ai prodotti alimentari e agli immancabili oggetti d'artigianato. A qualche chilometro dall'attuale paese, c'è l'antica Pisac, una vera e propria cittadina che si arrampica sulla cordigliera a un'altezza di quasi 3000 m.s.l.m.. Da Pisac il tour continua verso Ollantaytambo (con una pausa pranzo nel paesino di Urubamba) che ho così potuto visitare per la seconda volta, ascoltando la spiegazione di un'altra guida. Da lì si torna poi verso Cusco, ma facendo prima un'interessantissima sosta nel paesino di Chinchero, nel quale si può visitare la stupenda chiesetta ricchissima di decorazioni (purtroppo, viste le condizioni non eccelse, non si possono fare foto all'interno, ma è veramente sorprendente). A Chinchero, inoltre, il tour prevede una sosta presso un laboratorio tessile artigiano gestito dalle donne di una famiglia numerosissima, che si dedicano a filare, tingere, tessere e realizzare stupendi maglioni, sciarpe, guanti e oggetti vari in lana di alpaca. Dopo aver offerto ai turisti un mate de coca che serve a stemperare il freddo andino, le signore effettuano una dimostrazione di tintura delle fibre, tintura che avviene utilizzando sempre colori naturali (estratti da piante, insetti e altri elementi della natura).
                       Le piccole pietre di Saqsaywamán
Il giorno successivo, dopo aver girato ancora senza una meta precisa fra mercati, mercatini e gli angoli più nascosti di Cusco, ho poi effettuato un secondo tour organizzato: stavolta le mete erano più vicine alla città, ma altrettanto interessanti. La prima tappa era l'avamposto fortificato di Saqsaywamán, a circa due km dalla città, una sorta di forte costruito a protezione di Cusco e che venne parzialmente distrutto dopo l'arrivo degli spagnoli, che usarono molte delle pietre che lo costituivano per la costruzione di edifici cittadini, fra cui la cattedrale. Dopodiché ho potuto visitare il sito di Tambomachay, che era una sorta di ostello per il riposo dell'imperatore e in cui c'è una serie di sorgenti d'acqua collegate con un modernissimo sistema idraulico; poi ancora l'avamposto di controllo chiamato Puka Pukara, e infine il sito di Qenqo, una sorta di santuario sotterraneo in cui si svolgevano cerimonie religiose e probabilmente operazioni mediche.
                                     Alpaca al pascolo
Per mancanza di tempo, non ho potuto visitare altri due siti: quello di Tipón e quello di Moray, che oltre ad essere una sorta di vivaio per la coltivazione di vari prodotti agricoli, era una sorta di polo scientifico carico di energie legate alla Pacha Mama.
Infatti il giorno dopo, a metà mattina ho intrapreso il viaggio di ritorno...altre lunghissime 24 ore di autobus in direzione Lima. Cusco è però un posto nel quale un giorno o l'altro tornerò, ne sono più che sicuro. La sua magia è tale che c'è bisogno di più di una visita per poterne apprezzare al meglio l'essenza. Chi mi accompagna?



lunedì 28 gennaio 2013

Leggendone: "Malapolizia"


La violenta repressione dei manifestanti da parte delle Forze dell’Ordine durante il G8 di Genova del 2001 sconvolse l’opinione pubblica. Molti pensarono che fosse figlia del clima infuocato che si era respirato nei mesi anteriori all’evento, quasi a dire che, per quanto vergognoso potesse essere stato il comportamento degli agenti e degli organi maggiori delle forze dell’ordine, quella violenza fosse solo un’eccezione.
Anni dopo, il caso Aldrovandi esplode a livello nazionale.
Per la procura Federico è morto in seguito all’assunzione di droghe, ma la famiglia davanti al corpo sfigurato del ragazzo non può credere a questa semplice versione dei fatti e con coraggio e tenacia cerca la verità. Si scontra con un muro di omertà e depistaggi riuscendo infine a far processare quei 4 agenti che una notte di settembre del 2005, durante un controllo di polizia, lo pestarono fino ad ucciderlo.
Un’altra eccezione.
Ma nell’era di internet certi fatti difficilmente restano sconosciuti e ci si accorge che le “eccezioni” non sono esattamente una rarità.
Il libro “Malapolizia” raccoglie numerosi casi di abusi di potere da parte delle Forze dell’Ordine, dai più tristemente famosi come il caso di Stefano Cucchi, a quelli meno noti ma altrettanto cruenti come il caso della polizia ferroviaria di Milano dove finiscono sotto processo per omicidio preterintenzionale due agenti della polfer che volevano “dare una lezione” a un clochard, nella stessa camera di sicurezza della stazione trovano la morte altre tre persone sulle quali però non si è potuto o voluto approfondire in sede giudiziaria.
Non solo “arresti mortali” ma anche i racconti di quelli che l'autore, Adriano Chiarelli, non esita a chiamare “sopravvissuti”, e poi tante storie di abusi in carcere e altri crimini, tra cui il singolare caso della signora Maria Rosanna Carrus, un'anziana che viveva in un piccolo paese del cagliaritano; nel 2010 alcuni balordi del paese, noti alla popolazione e alle forze dell’ordine, mettono a segno una serie di rapine ai danni di anziani che vivono soli. La tecnica è sempre uguale: chiedono informazioni ai vicini e fanno appostamenti nei giorni antecedenti i furti. Un vicino di casa della signora Carrus nota la presenza di questi personaggi nel quartiere e dopo che essi manifestano l’intenzione di entrare in casa Carrus (chiedendogli addirittura appoggio per nascondersi dopo il furto) si reca in caserma a denunciare i fatti. Il comportamento dei carabinieri è anomalo, chiedono al vicino di tenere gli occhi aperti e si limitano a fare ronde nel quartiere; la signora Carrus verrà rapinata e assassinata nella sua casa, e i rapinatori avranno il tempo di tornare nei giorni successivi e dare fuoco all’abitazione per cercare di cancellare le loro tracce. Solo a causa del rogo i militari entreranno nell’abitazione e scopriranno il corpo di Maria Rosanna coperto da un materasso e arso fino a metà del busto.
Attraverso questi racconti salta agli occhi come la giustizia percorra strade diverse quando l’imputato indossa la divisa.
I meccanismi che si innescano sono molto simili in ognuno dei casi trattati: difficilmente si sollevano dubbi sull’operato degli agenti da parte di colleghi e superiori; si assiste spesso a depistaggi e mistificazioni dei fatti al punto da far apparire il carnefice come vittima e la vittima come quello che se l’è cercata. La divisa non sbaglia mai e se lo fa è solo un eccesso colposo.





giovedì 24 gennaio 2013

UOLCMEN: Playlist 6: olio di gomito e metallo fondente.


No, non siamo così mentre puliamo :(
Questa in realtà sarebbe dovuta essere la prima playlist, l'idea della rubrica nasce proprio per dare una colonna sonora a una cosa che tutti facciamo...le pulizie!!! La scena è sempre la stessa, abiti inguardabili (o meglio pigiama con gli orsi), scopa in mano e musica a tutto volume.
Dicevo, l'idea delle playlist nasce da una discussione con degli amici su quale fosse la migliore colonna sonora per fare le faccende di casa, naturalmente è stata votata all'unanimità I Want to Break Free dei Queen, ma io mi oppongo!
Sarà perché non mi piacciono particolarmente i Queen (a parte l'ottima colonna sonora di Highlander, non smetterò mai di associarli alla decapitazione!), e questo probabilmente non verrà accolto con entusiasmo, o forse perché li trovo veramente un gruppo triste e io quando pulisco necessito di musica divertente, cantabile ma non melensa, ritmata ma non ballabile: insomma del sano Metallo!
Non vorrei abusare troppo del cilindro magico del Power Metal, genere allegro e conviviale per antonomasia, ma lo farò, per cui ne troverete abbastanza, il tanto giusto per scatenare gli gnomi dei vostri cortili e farvi aiutare nelle faccende.
Per cui apriamo l'acqua e prendiamo lo straccio sulle note di "Carry on" degli Angra, una delle canzoni più tamarre che abbia mai sentito, ma una volta che ti entra in testa non esce più. La canzone è tratta da "Angels Cry", forse l'unico album decente sfornato dai brasiliani, quando ancora potevano vantare Andrè Matos nell'ensemble.
Il secchio è pieno e lo straccio bagnato, iniziamo a strofinare i pavimenti con "Time Stand Still (At The Iron Hill)" dei Blind Guardian, alfieri della bisboccia, dei banchetti elfici e del lato più bucolico delle opere tolkieniane. Questi tedesconi hanno prodotto una discografia di tutto rispetto, dando vita a sperimentazioni e grandi opere, in un genere musicale che lascia veramente poco spazio alle divagazioni dal tema principale. Io li adoro, e li inserisco perché mi mettono di buonumore e mi aiutano a pulire meglio, sarà una magia elfica o l'erba pipa? Chissà.

Cambiamo genere, più o meno, con la compianta divinità di tutto il mondo Metal: Ronnie James Dio, io vi sfido a provare a spolverare con "Holy Diver" in sottofondo, è un'esperienza mistica che vi segnerà. Tra l'altro nella playlist ho inserito il videoclip ufficiale perché merita di essere visto anche dai non fruitori di questo genere, è una delle cose allo stesso tempo più trash e più solenni dell'universo!
Finalmente ho trovato la giusta collocazione per un gruppo che è storicamente nelle mie grazie, ovvero i Megadeth! Ho scelto una canzoncina recente, ma ottima, perché è tutta da cantare (meglio di Dave Mustaine, e non è che ci voglia molto) ovvero "She-Wolf", anche questa è assolutamente da provare se non la conoscete perché è breve, cantabile, allegra e con una melodia che spacca i culi!
Torniamo a ugole più dotate del povero Dave con Bruce Dickinson, un'icona del genere, che nel lontano 1997 ci ha deliziati con un album magnifico, quell'"Accident of Birth" che ascolto ancora con emozione a discapito dei suoi 15 anni di vita (e io sono decisamente sul viale del tramonto visto che me ne sono goduta l'uscita), ho scelto "Omega", una ballata schietta, costruita su un ampio respiro che riempe la stanza di melodia, bellissima nel suo genere e impreziosita dalle linee chitarristiche di quell'Adrain Smith (anch'esso, allora ex e ora nuovamente Iron Maiden, come il buon Bruce) che anche sforzandosi non riesce a non lasciare il suo trademark in quello che suona.

Per pulire la camera da letto ho deciso di inserire una canzone che calza a pennello con l'azione "Giorgio Mastrota (The Keeper Of Inox Steel)" dei Nanowar of Steel. La scelta è ricaduta su di loro sia perché mi va di scrivere sul Metallo demenziale italiano che sforna davvero dei gruppi ottimi, sia perché li ho visti dal vivo e sono meravigliosi. In realtà mi fanno divertire un sacco e poi, vuoi mettere cambiare le lenzuola al letto cantando a squarciagola: "Cavalier custode dell'acciaio inox, guerriero nordico di pura lana merinos..."?
Continuiamo su questa falsariga con gli Atroci e la loro "Volevo un taglio semplice" cavallo di battaglia della lunga chioma tanto cara ai metalhead! Anche loro sono fantastici, musicisti di lunga data e ottimi strumentisti, testi al limite del demenziale e con un'autoironia spettacolare. Poi ci sono i Trick Or Treat e la loro cover di "Robin Hood" sigla del cartone animato cantata in origine da Cristina D'Avena, si proprio lei. È un altro gruppo con ottime capacità musicali al servizio dell'ilarità, ma che va oltre, sfornando anche musica inedita ottenendo risultati di buon livello.
Per la fine ho tenuto qualcosa di più leggero e distante dalle sonorità esplorate in precedenza, sia perché mi piace variare, sia perché quando si è stanchi dalla sfaticata delle pulizie urge qualcosa di meno epico e più accomodante. "Deer Dance" dall'album "Toxicity" dei System of a Down può andare bene. Vi consiglio di imparate il testo e poi cantarla mentre lavate i piatti , io adoro farlo.
Vi ho mentito, l'ultimo pezzo è il più, anzi, l'unico brutale della playlist. Dopo tutta questa allegria, Power Metal, boschi, elfi, Giorgio Mastrota e Robin Hood, una mazzata ci sta da dio, allora pulite tutto al suono di "More Time to Kill" dei Lamb of God e alla prossima giovini!








lunedì 21 gennaio 2013

Altrove: Cusco, Machu Picchu e la Valle Sacra degli Inca (parte 1)


Passare alcuni mesi in Perù per due anni di seguito ha significato per me tante cose: una necessità legata ai miei studi, la scoperta di un continente che desideravo conoscere da anni, una sofferenza nel lasciare la gente con cui vivo giorno per giorno, una stupenda esperienza per visitare luoghi a 10mila chilometri di distanza da casa.
Per il momento voglio tralasciare la prima parte del viaggio (durata circa un mese e mezzo) per concentrarmi sull'ultima settimana, nella quale ho messo in stand by i miei impegni di ricerca e ho deciso di regalarmi una settimana da turista. Non che mi piaccia fare il turista, però ogni tanto ci vuole!
La meta della mia vacanzina sono state le Ande, più precisamente la provincia di Cusco, nel sud del Paese. Partendo da Lima, la maggior parte dei visitatori che si reca in questa zona utilizza l'aereo: esistono tre compagnie che effettuano giornalmente la tratta Lima-Cusco per la somma di circa 100 dollari (solo andata). Io non potevo permettermi una cifra del genere e ho optato per raggiungere la mia meta via terra, con un autobus della compagnia MovilTours, una delle più comode, che per 105 soles (l'equivalente di circa 30 euro) mi ha scarrozzato sulle strade peruviane per circa 23 ore. Un viaggetto niente male, la cui prima parte è in realtà abbastanza noiosa, visto che percorre per circa 400 km l'autostrada Panamericana Sur, fino alla città di Nazca, attraversando un paesaggio semidesertico di scarso interesse. Una volta superata Nazca (famosa per le sue “linee”, che mi riservo di ammirare in un prossimo viaggio), ci si dirige verso est, iniziando lentamente l'ascesa verso le Ande. Qui il paesaggio cambia completamente e il viaggio si fa più interessante, se non altro perché sei costretto a tenere tutti i sensi allerta nella speranza che l'autista imbocchi bene le curve infinite. Tutto ciò finché non ti assale il sonno. Dopo quasi un giorno e una notte interi di viaggio sono arrivato a destinazione: Cusco, l'antica capitale dell'impero incaico, il cui nome originale è Qosqo, adattato poi al castigliano assumendo il nome di Cuzco, o Cusco.
Qosqo significa “centro”, “ombelico”, e in effetti la capitale era il centro da cui partivano le quattro parti dell'impero inca, il Tawantinsuyo, l'impero delle quattro parti (Tawa= 4; suyo=parte). Io ci sono arrivato intorno alle due del pomeriggio (mi sarebbe piaciuto arrivare al buio per poter ripetere la famosa frase pronunciata da Ernesto nel romanzo “Los ríos profundos” di Arguedas: “Entramos al Cuzco de noche...”) e dopo una brevissima passeggiata nella Plaza de Armas ho deciso di abbandonare subito la città, nonostante gli interessantissimi particolari che già a un primo rapido sguardo ti catturano, per dirigermi verso le rovine della cittadella inca di Machu Picchu. Mi sono dunque riservato la meta più famosa all'inizio.
Per arrivare a Machu Picchu le opzioni sono fondamentalmente due: prendere un treno da Cusco fino a Aguas Calientes (anche chiamato il “paesino di Machu Picchu”) spendendo circa 150 dollari (a/r col treno più economico); oppure risparmiare un pochino e arrivare alla stazione intermedia di Ollantaytambo con un taxi collettivo (10 soles, ossia meno di 3 euro e mezzo) e da lì prendere il treno, che per i non-peruviani costa (a/r) 96 dollari...una bella cifra, ma che vale la pena spendere. Fondamentale è, però, comprare in anticipo i biglietti, per non rischiare di non trovare spazio sul treno, che viaggia sempre al completo, vista la quantità di visitatori che ogni giorno transitano sulla linea. Importante è anche comprare in anticipo il biglietto di ingresso al sito archeologico, che si può acquistare on-line dal sito http://www.machupicchu.gob.pe/ (l'ingresso alla sola cittadella costa 128 soles), dato che al giorno possono entrare “solo” duemila persone.
Una delle cose che non ho gradito del mio percorso fino a Aguas Calientes è che il treno, sebbene abbastanza di lusso per gli standard peruviani, è una sorta di treno dell'Apartheid: infatti ha delle carrozze riservate per gli stranieri ben separate da quelle per i peruviani. Una cosa che ho dovuto accettare mio malgrado, e che mi ha costretto a separarmi, per le quasi due ore di viaggio, dalle persone conosciute durante l'attesa alla stazione. Arrivato ad Aguas Calientes mi sono però riunito a loro, un signore sulla quarantina e suo figlio adolescente, con i quali ho cercato un albergo nel quale passare la notte. In realtà non abbiamo neanche dovuto cercare, perché Aguas Calientes, che un tempo era una sorta di paesino del Far West che si sviluppava tutto intorno alla ferrovia, è ora il massimo del turismo: pieno di hotel di ogni categoria a un metro l'uno dall'altro, di ristoranti, bettole e bar. Inoltre, all'arrivo del treno, la stazione è invasa dai gestori degli hotel, quindi prima di uscire hai già trovato ciò che fa per te. Aguas Calientes, in realtà, ha questo nome per via delle acque termali che vi sgorgano e ci sono alcuni centri nei quali è possibile stare a mollo fino a tarda notte.
Dopo aver passato la notte condividendo una stanza con i miei due nuovi amici, ho deciso di svegliarmi prestissimo (alle cinque del mattino) per poter essere fra i primi ad entrare alla cittadella inca, che si trova in cima alle montagne circostanti e che si può raggiungere a piedi, con una salita che si percorre in poco più di un'ora, oppure con un comodo (ma caro) autobus che ti porta fino in cima. Io per tener fede a due dei miei difetti principali, la pigrizia e la taccagneria, ho deciso di salire in autobus e scendere a piedi. Occhio però: se volete fare sia l'andata che il ritorno in autobus dovrete comprare entrambi i biglietti ad Aguas Calientes, perché a Machu Picchu non c'è biglietteria.
Arrivato in cima intorno alle 6 del mattino sono stato accolto da una immensa nube bianca che nascondeva alla vista il famoso panorama. Ammetto che la cosa mi ha un po' deluso e che avrei voluto vedere sorgere il sole dalle montagne, ma le condizioni atmosferiche erano quelle che erano.
In realtà, dopo, più passavano le ore più capivo che la presenza delle nuvole rendeva ancora più magici e suggestivi i luoghi, dando loro un alone mistico e misterioso e permettendomi di scoprire poco a poco le varie parti della cittadella.
Nonostante avessi con me una guida (non la mainstream Lonely – che peraltro è piuttosto ben fatta- , né la Rough Guide, ma una vecchia guida pubblicata in Spagna a metà anni '90), ho deciso di affidarmi alla spiegazione di una guida del posto, soprattutto per solidarietà nei confronti di colleghi dell'altra parte del mondo. Il servizio delle guide costa fra i 15 e i 30 soles a testa e normalmente vengono formati dei gruppi di 4-5 persone. La spiegazione della guida è stata molto interessante, e direi che è quasi necessaria, a meno che non si sia degli esperti in storia e archeologia precolombiana. È durata circa due ore, dopo le quali ho avuto tutto il tempo per girovagare fra le rovine in tutti i loro meandri, scattare le classiche foto ricordo e andare ad accarezzare i lama che pascolano in una zona del sito.
Cosa dire di Machu Picchu? È considerata una delle meraviglie del mondo non a caso, uno di quei posti che ogni viaggiatore dovrebbe visitare almeno una volta nella vita. La sensazione che si prova corrisponde a una di quelle emozioni da sindrome di Stendhal, a cui si somma la consapevolezza di camminare su secoli di storia e una forte dose di vibrante energia che si respira in alcune zone del sito (soprattutto il Tempio del Condor, quello delle Tre Finestre e l'Intiwatana, la zona dell'orologio solare).
È come uno se lo aspetta: magnifico e imponente, nonostante lo sciame di persone. Ti trovi a circa 2400-2500 metri d'altezza, e le montagne creano un paesaggio spettacolare come pochi altri al mondo; inoltre, la vegetazione è quasi quella della foresta Amazzonica, perché ci si trova in quella che viene chiamata “ceja de selva”, ossia il versante montuoso della foresta. E proprio la foresta aveva inghiottito per circa quattrocento anni la cittadella, dopo che venne abbandonata nel periodo della conquista spagnola, fino al 1911 quando venne “scoperta” da uno studioso nordamericano, Hiram Bingham; questo magnifico posto era stato quasi completamente dimenticato, e solo pochissime persone erano a conoscenza della sua esistenza e della sua ubicazione.
Il nome significa Montagna Vecchia e a camminare per i suoi sentieri si respira l'amore per la Madre Terra, la Pacha Mama, importantissima per il popolo quechua.
Se si vuole si può acquistare un biglietto che costa un po' di più e che permette di salire al Wayna Picchu, la “Montagna giovane”, ossia l'altura che si erge proprio di fronte alla spianata su cui si trova la cittadella. Ci si arriva percorrendo per circa un'ora un sentiero e dalla cima si può godere di una vista dettagliata e, dall'alto, di tutto il complesso. Per gli spilorci che invece non vogliono spendere più dei 128 soles di ingresso (eccomi qua!) ma che non vogliono rinunciare a farsi comunque una passeggiata (per modo di dire, dato che in alcuni punti è piuttosto difficoltosa), dalla cittadella ci si può dirigere verso la cosiddetta Porta del Sole, o Intipunku in quechua, ossia l'ingresso megalitico che si trova a circa 50 minuti di cammino dal centro del sito. Questa porta si trova al termine del Cammino Inca ed era una sorta di punto di controllo prima dell'arrivo alla città. Si trova a 2720 mslm e per arrivarci bisogna attraversare un sentiero che in alcuni punti costeggia degli strapiombi impressionanti e che regala il panorama forse più emozionante di tutta la zona.
Dopo aver percorso a ritroso questa stradina mi sono concesso un'ultima passeggiata fra le rovine, prima di intraprendere la discesa verso Aguas Calientes. Nel bel mezzo del ritorno sono stato sorpreso dalla pioggia, che sapevo sarebbe arrivata prima o poi, ma fortunatamente avevo con me un “poncho” impermeabile; ma questo non è poi così interessante.
Prima di arrivare al paesino, subito dopo aver attraversato il ponte sul fiume Urubamba, si trova il Museo del sito, al quale si può accedere gratuitamente con il biglietto per la cittadella, in cui si trovano alcuni dei reperti archeologici trovati durante gli scavi.
Aguas Calientes, come già ho accennato, vive di turismo e abbondano dunque le bancarelle nei quali si vende artigianato, prodotti tipici e souvenir di qualsiasi genere. Ovviamente essendo a ridosso dell'attrazione turistica più visitata del Paese, i prezzi sono leggermente gonfiati.
Da Aguas Calientes ho ripreso il treno per Ollantaytambo... (CONTINUA)










giovedì 17 gennaio 2013

24EFFEPIESSE: Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello)


"Ah guarda, un film di Jim Carrey e Kate Winslet...se mi lasci ti cancello, sembra un film simpatico, perché non ce lo guardiamo, giusto per trascorrere un pomeriggio in allegria"
ahahahah...ora che ci ripenso...povera ingenua!

Attenzione [SPOILER] 


"Eternal sunshine of the spotless mind"(verso di una poesia di Alexander Pope), in italiano si è trasformato in "Se mi lasci ti cancello". Titolo che, in effetti, spiega in pochissime parole il contenuto del film, ma che sicuramente disorienta il pubblico dal reale significato della trama.
Ancora non riesco a capacitarmi di questa scelta, probabilmente dettata da motivi di marketing per attirare il pubblico di Jim Carrey, il quale, abituato a vederlo in commedie brillanti, non l'avrebbe sicuramente abbandonato in questa sua ulteriore performance.
Ma qui siamo ben lontani dalla commedia, ma soprattutto dal Jim Carrey di “Una settimana da Dio”. Siamo di fronte a un film drammatico, intenso, introspettivo e psicologico.
Fondamentalmente è una storia d'amore tra Joel (Jim Carrey) e Clementine (una bravissima Kate Winslet).
La pellicola inizia come la classica storia tra due fidanzati: incontro casuale, uscite sempre più frequenti, l'innamoramento, i litigi e la separazione; si seguono tutte le fasi, come da manuale.
Ma in questa società, si ha la possibilità di dimenticare tutto. Una ditta (Lacuna) offre la possibilità di cancellare determinati ricordi, specialmente quelli delle storie d'amore passate. In neanche 24 ore, i dolori allo stomaco, al cuore, la sofferenza della fine di un amore, cessano immediatamente, eliminando definitivamente quella persona dalla tua memoria.

Questo è ciò che fa Clementine, ragazza allegra, impulsiva, forse troppo insicura.
Quando Joel, per puro caso, scopre di "essere stato eliminato", in preda alla disperazione di essere ormai uno sconosciuto per lei, decide di fare altrettanto.
Inizia la cancellazione. Per fare questo Joel deve ricordare tutta la sua storia con Clementine, dalla sua nascita. E andando avanti si rende conto di non volerlo fare! Lui vuole tenersi tutti quei ricordi, quelle lunghe passeggiate sul lago ghiacciato, i discorsi senza capo né coda, le litigate continue; vuole che il ricordo di Clementine rimanga per sempre con lui. Ma è troppo tardi. Lui è sedato, incosciente, mentre gli scienziati smanettano col suo cervello; Joel vede pian piano svanire tutto, e in preda alla disperazione cerca di manipolare il suo subconscio, tentando di nascondersi tra i suoi ricordi, per salvare quello che ancora può di Clementine.
Cancellare dalla mente qualcuno che hai intensamente amato, è possibile, ma cancellarla dal cuore è pressoché impossibile.
Quando ami intensamente, devotamente, e questo amore va a disintegrarsi facendoti soffrire talmente tanto da farti piegare dal dolore, da farti sentire anche stupido, cerchi in tutti i modi di riaggrapparti a tutti i tuoi ricordi, belli e brutti che siano. Ma sono questi i sentimenti che ci rendono vivi.

"The eternal sunshine.." (mi prendo la libertà di abbreviare il titolo originale, ma il titolo italiano non lo dirò MAI PIÙ!) cerca di entrare nella complessa psicologia di questo particolare momento della vita, attraverso il linguaggio del sogno e del ricordo. Per questo motivo, a molti, potrà sembrare un film un po' troppo contorto, che sicuramente deve essere guardato con attenzione. Ma grazie all'ingegno dello sceneggiatore Charlie Kaufman (Essere John Malkovic; Il ladro di orchidee, Confessioni di una mente pericolosa), la trama risulta abbastanza scorrevole (ma l'attenzione deve essere sempre alta!) e emotivamente coinvolgente; e la regia di Michel Gondry (regista di videoclip dei Radiohead, Bjork, Chemical Brothers) riesce nella difficilissima impresa di riprodurre questi sogni e ricordi con degli effetti speciali poco ingombranti, senza mai cadere nello sfarzo hollywoodiano.
Un film dalla grande intensità emotiva, che entra in maniera violenta dentro di noi. Per questo motivo, ritengo che sia necessario essere più o meno preparati a ciò che si sta andando incontro, e la scelta di tradurre il suo originale titolo in questo modo, avrà sì attirato un pubblico che magari non l'avrebbe neanche considerato, ma allo stesso tempo ha permesso che quest'opera non venisse degnamente apprezzata.




lunedì 14 gennaio 2013

Extras: L'oroscopo di Gennaio



ARIETE:
Qualche problema in famiglia potrebbe farvi impensierire, ma gennaio ha in serbo per voi momenti piacevoli. 
TORO:
Vi aspetta un mese vivace e ricco di allegria con gli amici più fidati. 
GEMELLI:
Avete molti progetti in cantiere ma sarà meglio che ne portiate avanti uno alla volta, fate una lista delle priorità. 
CANCRO:
Qualche tensione con chi vi circonda renderà il mese faticoso, non sottovalutate i contrasti; vi aspetta un anno di cambiamenti importanti. 

Il leone
LEONE:
Siete scontenti di come vanno le cose, approfittate di questo stato d’animo per chiarire cosa non va. 
VERGINE:
L’inizio di gennaio non sarà facile, ma la voglia di divertimento e gli amici vi faranno superare i momenti di difficoltà. 
BILANCIA:
Momento propizio per fare nuove conoscenze; qualche tensione in famiglia: affrontatele con diplomazia 
SCORPIONE:
Vi sentirete più diffidenti del solito, specie con il partner, affrontate subito i vostri dubbi: vi sentirete liberati. 
CAPRICORNO:
Frizzante gennaio, anche gli imprevisti più fastidiosi avranno risvolti piacevoli: ve ne accorgerete. 
SAGITTARIO:
Sarete circondati di affetto, l’amore va alla grande e le nuove amicizie saranno favorite dal vostro allegro stato d’animo. 
ACQUARIO:
La determinazione che avrete questo mese vi porterà a superare le difficoltà che incontrerete nel cammino, anche la vita sociale sarà più vivace del solito. 
PESCI:
Cambiamenti importanti in vista, i problemi fastidiosi del 2012 saranno finalmente risolti.





martedì 8 gennaio 2013

Radio K240 puntata n 14

Avevate perso le speranze? Gente di poca fede: ecco a voi la quattordicesima puntata di Radio K240!!
Cominciamo subito a ringraziare gli ospiti della puntata: The Blacktones, che ci hanno regalato un pezzo acustico ancora inedito, che onore!
Ancora novità per questa Radio dura a morire, una nuova speaker affianca i nostri ormai rodati Dj Franchino e Lafayette, ma sentirete la puntata e giudicherete voi, io non vi anticipo altro.
Ecco a voi le foto, la puntata da ascoltare in streaming o da scaricare...e a breve un ulteriore sorpresa. State con noi!


con alcune connessioni e browser l'ascolto in streaming potrebbe dare qualche problema, in questi casi vi consigliamo di scaricare la puntata!




lunedì 7 gennaio 2013

24effepiesse: DIAZ, DON’T CLEAN UP THIS BLOOD


Tra il 19 e il 21 luglio 2001, si riunirono a Genova gli otto “grandi della terra”, i rappresentanti di quelli che allora erano considerati come gli otto paesi economicamente più sviluppati del Mondo, al fine di discutere delle scelte politiche da compiere per il futuro di tutto il pianeta. Questi incontri avvenivano periodicamente e in varie città del mondo. In occasione di ogni incontro si creava un movimento di persone, associazione e gruppi politici che contestava le scelte neoliberiste compiute dal G8, chiedendo a gran voce un nuovo tipo di globalizzazione, più vicino alle esigenze e ai bisogni delle persone. Anche in Italia si creò questo movimento che, dopo essersi organizzato in un unico soggetto politico, il Genoa Social Forum (che era in grado di tenere al suo interno gruppi di differente sensibilità politica, dai cattolici ai gruppi extra-parlamentari appartenenti ai centri sociali), organizzò le manifestazioni di dissenso nei confronti del G8. Il Movimento era sicuramente molto forte e lo Stato scelse di “mostrare i muscoli” al fine di poterlo fermare e sconfiggere. Genova venne praticamente militarizzata: sia il 20 che il 21 luglio i vari cortei e sit-in di protesta vennero caricati dalle forze dell’ordine che portarono avanti una vera e propria caccia all’uomo nei confronti dei manifestanti. Il momento più importante avvenne il 20 luglio: dopo che il corteo organizzato dalle tute bianche venne caricato in un punto autorizzato del percorso, via Tolemaide, e dopo due ore di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, Carlo Giuliani venne ucciso da due colpi di pistola sparati dalla pistola di Mario Placanica, agente dei carabinieri di Palermo. In conclusione di questi due giorni, quando tutto sembrava ormai concluso, avvenne invece il terribile episodio della scuola Diaz: poco prima della mezzanotte del 22 luglio i reparti della celere entrarono nella scuola Diaz e diedero vita ad un pestaggio violento nei confronti di manifestanti inermi xe increduli di fronte a tanta rabbia. Vennero ferite circa 87 persone, di cui tre finirono addirittura in prognosi riservata e uno in coma. Coloro che non vennero feriti finirono nella caserma di Bolzaneto , dove vennero sottoposti per alcuni giorni a torture e umiliazioni continue.

Daniele Vicari, il regista di Diaz, sceglie di raccontarci quest’ultimo episodio della Diaz e alcuni fatti relativi a Bolzaneto. La trama si dispiega attraverso la descrizione del blitz delle forze dell’ordine alla scuola vissuto da punti di vista e angolature differenti: quello del giornalista Luca della Gazzetta di Bologna, che dopo la morte di Carlo Giuliani vuole vedere da vicino ciò che sta succedendo a Genova (nella realtà esso rappresenta Lorenzo Guadagnucci, giornalista di Altreconomia e del Resto del Carlino e portavoce del Comitato Verità e Giustizia per Genova, autore lo scorso anno insieme a Luca Agnoletto del libro “L’eclissi della democrazia”, che tratta dieci anni di processi riguardanti ciò che è avvenuto in quei terribili giorni del luglio del 2001), quello di Nick, un manager che si interessa di economia solidale, arrivato a Genova per seguire il seminario dell’economista Susan George; quello di Anselmo, un vecchio militante della CGIL che ha preso parte ai cortei contro il G8 con i suoi compagni pensionati e decide di rimanere una sera in più a Genova per poter visitare la tomba di una sua parente (dietro cui si cela Arnaldo Cestaro); quello di Max Flamini, vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma (i riferimenti a Michelangelo Fournier, colui che per primo parlò di ciò che avvenne in quelle scuola come di una “macelleria messicana”, sono evidenti); Alma, Marco e Franci, militanti politici e attivisti che dopo aver assistito a quei tragici momenti si mettono a disposizione del Genoa Social Forum alla ricerca dei dispersi; Etienne e Cecile, due anarchici francesi diretti protagonisti degli scontri di quei giorni. Il film si basa completamente, secondo una precisa scelta del regista, su tutti i documenti e gli atti giudiziari prodotti durante i processi istituiti in seguito a quei tragici fatti.

Secondo il mio modestissimo parere, il film, nonostante abbia dei limiti e delle lacune evidenti (la stessa scelta di raccontare ciò che è stato oggetto di azione giudiziaria fa si che ciò che viene descritto di quei tragici momenti nel film non rappresenti la realtà ma solo un ritaglio di questa: in questo senso mancano i racconti di coloro che non hanno voluto, per rifiuto dello strumento giudiziario o per l’intollerabilità del ricordo, o potuto, perché hanno firmato dichiarazioni menzognere, in una lingua non loro e in assenza di tutela legale, intraprendere l’azione legale; mancano i fatti di cui non si è potuto fornire la prova processuale, e di questo ritaglio nel tessuto del reale si deve necessariamente tenere conto) può comunque essere uno strumento utile per ridiscutere di quei giorni e di ciò che è avvenuto, di coglierne la complessità senza nascondersi dietro facili capri espiatori (è tutta colpa dei “black bloc”!) o complottismi di sorta (“erano solo dei poliziotti infiltrati”). E’ senza dubbio un documento importante perché squarcia il velo di omertà su ciò che è avvenuto ormai più di dieci anni fa (sebbene molti siano stati i documenti, i film e i documentari che siano stati prodotti, nessuno di essi è stato in grado di arrivare a un livello ampio di pubblico). Ad esso, però, come già precedentemente spiegato, si deve ovviamente accompagnare una discussione e un dibattito su quei giorni contestualizzandolo agli avvenimenti attuali ( la militarizzazione di Genova in quei giorni, ad esempio, non è tanto dissimile dalla militarizzazione che la Val Susa sta “subendo” in questi giorni).
Prima di concludere, altre due annotazioni molto interessanti: la prima riguarda la scelta del regista di affidarsi, nonostante la presenza di alcune star come Elio Germano e Claudio Santamaria, ad un racconto corale senza basare la storia sulla forza e l’importanza di tali star; la seconda invece riguarda la capacità che ha avuto il regista di narrare le vicende senza alcuna indulgenza nei confronti dell’estetizzazione dell’orrore che ha pervaso molto cinema, facendo della pretesa denuncia dell’orrore uno strumento di anestetizzazione della violenza. Concludendo, è importante vedere questo film non perché sia in grado di portare una verità oggettiva su quei fatti (impossibile, nonostante siano tantissimi coloro che si attendono questo), ma perché attraverso di esso è possibile costruire discussioni, dibattiti e conoscenze che portano a sfidare e abbattere quella che sta diventando la verità egemone su Genova e dintorni.